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Unimc, laurea honoris causa a Don Vinicio Albanesi

Unimc, laurea honoris causa a Don Vinicio Albanesi
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Laurea honoris causa dell’Università di Macerata a Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, fondatore dell’agenzia giornalistica Redattore sociale e promotore, insieme a don Luigi Ciotti, del Coordinamento delle comunità di accoglienza.

Il conferimento del prestigioso riconoscimento, ha detto aprendo la cerimonia il rettore Francesco Adornato, “rovescia i paradigmi dei percorsi formativi e fa vivere nella stessa aula i presunti abili e le persone con disabilità, rovescia e mette in contatto diversi linguaggi, diverse emozioni, diverse storie per fare dell’università il luogo della libertà, parità, eguaglianza, inclusione nella loro forma più sostanziale”.

Don Vinicio Albanesi con il rettore Francesco Adornato

“Un uomo di Chiesa e del Sociale” lo ha definito la professoressa Catia Giaconi durante la sua laudatio, seguito nell’occasione da tante persone accorse a rendere omaggio al neo laureato in scienze pedagogiche. Una cinquantina quelle della Comunità di Capodarco di Fermo, in sala insieme a docenti, autorità e studenti.

Foto di gruppo, Don Vinicio Albanesi con i presenti della Comunità di Capodarco

“Un aspetto qualificante l’opera di Don Albanesi – ha continuato la docente Catia Giaconi – è la sua intuizione che il fenomeno dell’emarginazione non fosse una questione strettamente connessa alla disabilità fisica, ma più vasta a livello sociale”, ricordando le emergenze affrontate da questo “prete di strada, come la disabilità fisica, la tossicodipendenza, i cosiddetti “ex manicomiali”, l’accoglienza dei minori non accompagnati, il “Dopo di noi”, estendendo l’assetto pedagogico della Comunità di Capodarco di Fermo anche fino in Albania, Ecuador, Camerun, Guatemala, Kosovo e Brasile.

“Parole e azioni sono costantemente volte all’attitudine, alla cura e alla realizzazione di spazi di partecipazione sociale e d’integrazione, ad appannaggio di tutti e di ciascuno”, ha ribadito Michele Corsi, direttore del Dipartimento di Scienze della formazione, beni culturali e turismo.

I docenti Michele Corsi e Catia Giaconi, il direttore generale Unimc Mauro Giustozzi

Un lungo applauso ha accompagnato la proclamazione del laureato. Rovescia i paradigmi, Don Vinicio, rovescia convenzioni, stereotipi e pregiudizi appena prende la parola. “Avevo preparato un discorso ma lo devo cambiare”, ha detto. “Mi volete troppo bene e questo mi ha commosso. Vedo qui rappresentati in questa sala moltissimi mondi: il mondo dello studio e dell’università, le autorità, gente che evidentemente mi vuole bene e ha voluto manifestarlo”. E mentre indossa la toga, il pensiero va a un gesto per lui abituale, la vestizione per la messa domenicale. “Mi ha fatto pensare agli inizi delle università nel medioevo, per cui si ricongiungono certi rituali e certi simboli che hanno origine secoli fa”. Quindi, la lezione, che parte dalla vita. Gli inizi in seminario, dove l’addestramento alla solitudine, alla fatica e alla sofferenza trasformavano i bambini in adulti “frustrati ma non depressi”, in grado di affrontare le asperità dell’esistenza. La vocazione: “Ho letto nelle circostanze della mia vita la mano di Dio. Prete ti consacrano, ma ci devi diventare. Io ho incontrato Dio molto tardi, leggendo il compendio della summa teologica di San Tommaso D’Aquino, che scrive che l’amore di Dio e l’amore per il prossimo sono un unico comandamento”.

Don Vinicio Albanesi

Il suo impegno nel sociale, quando, fresco di laurea all’Università Gregoriana a Roma, va da Don Franco Monterubbianesi, che aveva fondato la Comunità. E, commentando tutte le sue opere ricordate da Giaconi, ha sottolineato: “Non mi sono inventato nulla, ho ascoltato le istanze del territorio”. Alla fine, la sua raccomandazione. “All’inizio prevalevano buona volontà e buon senso. Col tempo si sono intensificate le professionalità. Ma non dimentichiamo le prime: comprensione, sollecitudine, benevolenza, cortesia, mitezza, gratuità, gratitudine, perdono, testimonianza, paternità, maternità, fratellanza, aiuto economico e tempo. La povertà più grande che esiste – ha concluso – è non avere a disposizione il proprio tempo, perché significa che la tua vita la metti a disposizione degli altri”.

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