Dopo essere stata liberata dai ponteggi che ne occultavano la superficie esterna in mattoni, la chiesa di San Giuseppe, luogo di culto che si affaccia sulla centralissima piazza Del Popolo, nelle prossime ore sarà liberata anche dalla grande gru utilizzata per il trasporto dei materiali e per la sistemazione del tetto. Attualmente sono in corso i lavori di rifacimento dell’impiantistica interna che comprende sia l’impianto d’illuminazione che quello di automazione delle campane. I tecnici stanno anche predisponendo un moderno impianto di allarme antiintrusione con sistemi di rilevamento antiincendio e di videosorveglianza. Inoltre, la chiesa sarà dotata di un nuovo impianto di amplificazione. Tutta l’impiantistica, così come gran parte degli arredi, è andata in fumo nel rovinoso incendio del 31 dicembre 2009 la cui origine fu proprio imputata dal corpo dei Vigili del Fuoco ad un malfunzionamento dei cavi elettrici.
Ora oltre alle opere di restauro pittorico sulle superfici decorate a tempera, per l’esecuzione delle quali sono stati alzati ponteggi che consentono ai restauratori di raggiungere gli oltre mille metri di superficie interna della chiesa, sono pressoché terminati gli interventi nella cupola della volta presbiteriale con la pulizia e il consolidamento dei quattro evangelisti in stucco che ne decorano i pennacchi.
Intanto, all’azienda settempedana Grandinetti è stato commissionato il rifacimento degli elementi danneggiati dal calore del pavimento in graniglia, che sarà completamente mantenuto e restaurato. Il pavimento della chiesa di San Giuseppe, realizzato nel 1925 smantellando completamente l’originario pavimento in cotto, è oggi uno dei pochi esempi superstiti della fiorente attività di produzione di mattonelle in graniglia che rese la città di San Severino celebre nei primi decenni del secolo XX.
In questo giorni è in via di definizione, se ne sta occupando l’arch. Luca Maria Cristini, progettista e direttore dei lavori degli interventi sulla chiesa, insieme ai colleghi del Gruppo Marche di Macerata, il progetto di ricostruzione dell’altare bruciato. Si tratta di un progetto difficile e complesso per le implicazioni che comporta a livello di inserimento di un manufatto attuale all’interno di un ambiente a così forte caratterizzazione. Per questo motivo il team di progettisti ha avviato i contatti con padre Andrea Dall’Asta che presto sarà a San Severino per un sopralluogo al cantiere. Architetto e docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, padre Dall’Asta è uno dei massimi esperti di arte sacra contemporanea e direttore della galleria San Fedele di Milano.
La chiesa di S. Giuseppe si deve alla munificenza della nobile famiglia Tinti che, in due epoche successive, sostenne la spesa per la sua costruzione. Fu il sacerdote Giuliano Tinti che, per devozione, volle far erigere questa chiesa nella piazza maggiore della città, dotandola di ogni arredo necessario per la celebrazione delle sacre funzioni. La chiesa fu edificata nel breve spazio di due anni: infatti fu posata e benedetta la prima pietra il 21 febbraio 1628 da Bartolomeo Tardoli, arciprete della Cattedrale e allora vicario generale, il quale, una volta terminata l’opera, provvide anche a benedirla il 19 marzo 1630. Dopo quasi un secolo e mezzo dalla prima edificazione, nel 1768, essendo divenuta la chiesa troppo angusta, Vincenzo Tinti decise di costruirne una più grande su disegno dell’architetto ticinese Gaetano Maggi. Dopo i lavori durati un trentennio la chiesa venne riaperta al culto nel 1798.
L’edificio resistette molto bene al forte terremoto che colpì San Severino nel 1799 e per tale ragione vi si trasferì provvisoriamente il Capitolo della Cattedrale.
Durante il periodo del Regno Italico, il 14 novembre 1810 la Confraternita del SS. Sacramento o del Corpus Domini, ebbe il proprio oratorio demaniato per essere adibito a Monte di Pietà e pertanto dovette trasferirsi provvisoriamente nella chiesa di S. Giuseppe. La permanenza divenne poi stabile e la presenza della Confraternita condizionò in modo profondo le funzioni religiose e la vita stessa della chiesa. I confratelli portarono con loro l’altare, i dipinti, l’antica campana, gli arredi sacri e quant’altro faceva parte del patrimonio del sodalizio.
Nell’Ottocento furono eseguiti lavori di notevole consistenza. L’anno 1871, dovendosi installare una campana più pesante fu rifatta completamente la torre campanaria.
Su ordine del vescovo e delle autorità civili, nell’anno 1885 la chiesa venne chiusa al culto per la poca sicurezza che offriva il fabbricato, bisognoso di sollecito e radicali restauri alla volta, che terminarono l’anno seguente.
Nel 1913 fu commissionata dal parroco don Arcadio Dante Scuderoni la decorazione pittorica dell’interno al pittore tolentinate Francesco Ferranti (1873-1951). In occasione di questi stessi lavori la chiesa venne completamente decorata dal rinomato marmista Mario Adami di Roma, che era espertissimo nell’imitare con la pittura veri marmi pregiati.
Da menzionare sono anche i tre altari in legno scolpito e dipinto: due soli superstiti all’incendio del 31 dicembre 2009, che ha causato la completa perdita di quello posto sulla parte destra della navata, intitolato alla Madonna di Lourdes. Di fattura seicentesca, aveva un frontone spezzato poggiante su due colonne scanalate con capitelli corinzi dorati. Sotto alla mensa era un elemento ligneo ad imitare un sarcofago poggiante su due piedi di leone dorati. La chiesa è uno scrigno di tesori.
(207)