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Architetti e ricostruzione, progetti smart land per l’alto maceratese

Architetti e ricostruzione, progetti smart land per l’alto maceratese
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Dopo i terribili eventi sismici che hanno violato le zone del centro Italia, parlare di ricostruzione vuol dire riunirsi attorno ad un tavolo di concertazione e dare voce a un intero territorio, quello marchigiano, fatto da un pulviscolo di identità e comunità. Capire come immaginare luoghi interi tra storia e progettualità.

Sembrano tutti concordi i protagonisti di “Dopo il terremoto… come agire?”, convegno organizzato ieri alla Domus San Giuliano dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Macerata, in accordo con Italia Nostra, AssoRestauro e Arco e che ha visto intervenire anche esperti delle università di Roma Tre, La Sapienza e Unimc.

«Non si può immaginare di costruire un territorio senza partire dalla sua comunità» sostiene Francesco Adornato, rettore dell’Università di Macerata nei primi interventi d’apertura del convegno. L’intesa istituzionale e professionale auspicata Romano Carancini, sindaco di Macerata, che deve essere alla base di un reale progetto di ricostruzione pare essere uno dei fil rouge della discussione.

Perché se è vero che negli anni, sin dal terremoto dell’Irpinia slogan cardine di ogni ricostruzione è stato “Dove era, come era”, altrettanto vero è che proprio nel lavoro di team tra varie figure professionali si può valutare di volta in volta se quel buon proposito lo è davvero.

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L’architetto Francesco Doglioni che in prima linea si occupò della ricostruzione in Friuli nel suo intervento pone subito le basi del tema caldo del convegno. “Dov’era e com’era non è un format. Si tratta invece di qualcosa che va discusso caso per caso, luogo per luogo. In Friuli i muri delle città colpite erano stati mantenuti come traccia della continuità di un luogo. Ricostruire il duomo di Venzone è stato un ricomporre ciò che il terremoto aveva scomposto, pietra su pietra.” Non si tratta di un intervento romantico. Quel lavoro fatto di volontà di una comunità attaccata ai suoi luoghi è stato alla base del ripopolamento dei centri storici e la creazione di un motore economico che ha fatto ripartire la loro economia. “La pista ciclabile per il Tarvisio che ha attraversato Venzone, – spiega Doglioni – ha ridato vita economica all’intero territorio”.

A questo si aggiunge quanto evidenziato dall’ingegnere Cesare Spuri, Direttore dell’Ufficio Speciale per la Ricostruzione Marche che evoca nel suo intervento uno scenario “post bellico” ed evidenzia la necessità di una gestione in loco dei territori, più autonomi rispetto all’accentramento romano.

Altrettanto accorato l’intervento di Carlo Birrozzi, Soprintendente Marche, che ha evidenziato quello che l’ordine degli architetti di Macerata nella persona del suo presidente Enzo Fusari, denuncia da tempo. “Ancora non si parla davvero di ricostruzione, questa è forse la prima occasione – tuona Birrozzi –. Siamo di fronte ad un tessuto sociale estremamente impoverito, invecchiato e con un patrimonio storico-architettonico straordinario ma in esubero. Di fronte ai terribili fatti manca un’attività programmatica che miri domani a riportare la gente nelle aree colpite, che trasformi quei luoghi in smart land. Occorre una regia forte che unisca tutti i professionisti e le Università in una visione sistemica di ricostruzione di luoghi e comunità.”

Ma non si tratta solo di ricostruire, occorre anche saper creare nuovo senza averne paura, obbedendo non solo a tecniche d’avanguardia antisismica ma anche ad una visione del territorio che miri alla qualità del costruito in armonia con la sua storia e identità. Una fiducia nel costruire con il minor consumo di suolo possibile, ricreando patrimonio e nuovi modelli di vita e di arte. Ora, decisamente, i tempi sembrano essere più che maturi. 

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